29/05/13

Io a Dachau ieri (69 anni dopo mio Nonno)





















Io a Dachau ieri, 69 anni dopo mio Nonno
(entrato come prigioniero politico il 9 Ottobre 1944 e mai più tornato).

Quanto è difficile elaborare e descrivere la miriade di sensazioni che ti franano addosso quando si entra in un luogo così drammaticamente reale.
Qualcosa che oggi nel 2013 (liberi da ogni ideologia e fazione politica) è ancora più lancinante perché ti mette davanti all'uomo e alla sua esistenza, senza appigli e vie di fuga.
Ho attraversato il cancello di ferro del Campo di Concentramento, sono entrato timoroso e ho cominciato a guardarmi in giro. Mi rendo conto solo adesso di come il mio cervello abbia immediatamente alzato uno scudo di protezione, qualcosa che potesse difendermi da tale inimmaginabile sofferenza.
E così ho visitato il museo guardando le foto e leggendo le informazioni come se fossi in un normale museo (come fossi agli Uffizi davanti a un quadro di Botticelli o Caravaggio) passando da un pannello all'altro, scuotendo la testa ma con un certo distacco, per non farmi assalire da alcuna disumana onda emotiva.

Ma visitare Dachau è come entrare nella realizzazione concreta dell'Inferno immaginato da Dante, un INFERNO DEI VIVI dove non è possibile evitare di venire scossi nel profondo.
La realtà ti assale con i suoi spettri di un passato talmente vicino da restare ammutoliti. Non è la storia dei libri che ti passa davanti, non è Napoleone, non è il Medioevo, non è Giulio Cesare, ma è la storia di ieri, il peggior incubo lì dietro l'angolo.
A Dachau tutto sembra immaginato dal più folle sceneggiatore: i binari dei treni, il cancello con la scritta “Arbeit macht Frei”, il ferro del filo spinato, gli spigoli delle torrette di guardia, i letti di legno dove dormivano ammassati i prigionieri, la fila dei cessi e delle docce, le camere a gas, le celle degli esperimenti, i muri delle esecuzioni, i forni per cremare i cadaveri. E quello che è rimasto è soltanto un millesimo di quello che era in realtà il Lager. Perfino la natura a Dachau è avversa, fredda, pungente, in bianco e nero, il cielo è grigio come il piombo e l'aria gelida come la morte.
Si resta di pietra e senza lacrime, rintontiti da tanta assurda crudeltà da voler chiudere gli occhi per non guardare, dimenticare per non soffrire.
Ma nella testa cominciano a girare in vortice migliaia d'immagini di film, libri letti, racconti, tutto quello che normalmente nella tua tranquilla vita quotidiana sembra una storia sentita e risentita, lì in mezzo all'immenso viale (cinicamente chiamato della “Libertà”) riassume il senso vero di quello che è stato: Morte. Follia. Barbarie.

Mio nonno è morto lì a 39 anni, accusato di aver cospirato contro la follia nazista. Morto probabilmente pochi giorni prima della liberazione del campo, sepolto in una fossa comune nel fango di Dachau.
Questo è il mio filo diretto con la Grande Storia che non posso e non voglio perdere. Qualcosa che passa dentro di me, attraverso mio padre fino ai miei figli e dimenticare, per me, sarebbe come aggiungere un crimine ad un altro crimine. 




07/05/13

Santa Maria Navarrese Blues


Infine lo zoppo si alzò dal buio di quella topaia 
e sgattaiolò fuori col suo occhio sfregiato 
da una vita ruggente
Se ne andò via spingendosi lontano 
come un Cowboy morente tra le braccia della notte
E là dove le anime crescono selvagge 
riprese a camminare nudo nella baia a ferro di cavallo.